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Possiamo salvare il mondo, dopo questo articolo

Per salvare il mondo, ci serve il contrario di un selfie

Jonathan Safran Foer nel suo libro “Possiamo salvare il mondo, prima di cena” ha centrato più di un punto.

Ne condividerò solo alcuni con voi e le riflessioni a cui hanno portato.

Le nostre emozioni

Per prima cosa nel libro si evince come le nostre emozioni guidino le nostre azioni, sempre. Quindi anche quando vogliamo salvare il Pianeta, esse ci spronano o ci limitano.

Un giorno stavo discutendo con una persona che non comprendeva né credeva ai cambiamenti climatici e sosteneva che non le importasse se le specie si estinguono. Era una giovane nonna. Così le chiesi: «E se tuo nipote non potesse mai vedere alcune specie bellissime? Che ne so, una farfalla rara, perché l’abbiamo fatta estinguere?» Lei mi rispose che non le interessava, che non avrebbe portato nulla di più nella vita di suo nipote quella farfalla.

La sua risposta, assurda e insensata, era guidata da un’emozione che chiamiamo rabbia. Altri sentimenti la governavano: voleva avere ragione, soffriva perché la vita non era andata come aveva previsto ed era gelosa del fatto che io studiassi all’università mentre sua figlia non aveva avuto il coraggio di farlo e lei stessa invece di studiare aveva scelto di crescere i suoi figli. Non entriamo nel dettaglio per cui la vita a volte non permette alle persone il lusso di poter avere un’istruzione.

Avrò avuto 24 anni e la vita da studentessa doveva apparire a quella donna insoddisfatta come idilliaca rispetto al suo divorzio e ai suoi problemi di salute dovuti al poco movimento, al troppo cibo, alla mancanza di cure psicologiche e al rifiuto di prendere le medicine per il cuore. Ecco, dietro alle persone, alle loro parole, alle posizioni estreme, all’indifferenza, dobbiamo considerare che può esserci tutto questo.

Magari anche voi, discutendo con qualcuno, avrete dovuto affrontare la difficoltà di incomprensioni e muri invisibili che hanno interferito con la possibilità di comprendersi davvero a vicenda e nessuno di noi è immune alle emozioni.

Una stabilità emotiva è la chiave per fare la scelta giusta anche quando si tratta di cambiamenti climatici. Una persona sofferente avrà altro a cui pensare e non si impegnerà mai spegnendo la luce quando esce da una stanza, evitando di fare lavatrici vuote, rinunciando all’asciugatrice etc. Ma il suo contributo è fondamentale tanto quanto quello di tutti gli altri. E dopo una pandemia, la stabilità emotiva sembra quasi un lusso.

Io il mio non l’ho fatto

Il secondo punto del libro è collegato al primo. Il malessere psicologico in qualche modo si può manifestare, tra le altre cose, anche attraverso l’uso sconsiderato ed esagerato dei social network. Attraverso i social pensiamo, anche noi scienziati, che quello che facciamo basti. Fare divulgazione è importante per diffondere giuste informazioni, ma non è sufficiente. Per questo molti di noi lavorano fuori da internet, dove non ci vedete, attraverso progetti e ricerche di vario genere per agire in modo concreto. E diventa più difficile essere presenti sui social quanto coloro che invece si limitano a scrivere, a fare post, a mettere foto e video. Il fatto di pubblicare qualche informazione utile sui cambiamenti climatici o sulla perdita di biodiversità, ci fa sentire meglio, ci gratifica l’ego come un bel selfie. Come suggerisce Jonathan nel suo libro, ci dà la sensazione di star facendo qualcosa di concreto: “Io il mio l’ho fatto”. Ma non basta.

Tuttavia è importante, anche e soprattutto per gli scienziati, essere presenti sui social, fare divulgazione scientifica, senza però dimenticare che la scienza e la ricerca si fanno fuori dal web (escludendo alcuni ambiti chiaramente, come quelli che usano questionari online). Ecco due esempi di progetti di conservazione della natura di cui abbiamo parlato: sul gatto selvatico e sulla Rana latastei.

Il grande impegno richiesto in quest’epoca per prendersi cura di tanti temi importanti, dal sociale, all’ambiente, al benessere animale, alla crisi economica, richiedono tanta energia che forse non tutti abbiamo dopo lunghe giornate di lavoro, in cui spesso ci viene richiesto di fare il triplo di quello che normalmente dovremmo fare, sotto pressione e sempre in urgenza. Così siamo nel mezzo di innumerevoli pressioni mentre abbiamo bisogno di portare a casa uno stipendio, prenderci cura di noi e della nostra famiglia. Tutto sembra stia diventando sempre più faticoso.

E allora dove troveremo il tempo e la forza per salvare il mondo? Come potremo fare la cosa giusta? Quando riusciremo ad informarci su cosa sia giusto fare? Possiamo salvare il mondo?

Appare chiaro come la crisi climatica sia strettamente legata a quella sociale.

Mi sembra di non fare abbastanza

Molti di noi, scienziati e non, conoscono alcune buone pratiche e le condividono, anche sui social, ma quanti davvero le mettono in pratica? Ecco un altro punto che emerge nel libro, in cui l’autore si mette in discussione, facendo sorgere più domande che risposte.

Anche io mi sono chiesta più volte se stessi facendo abbastanza per il Pianeta. Uso detersivi e cosmetici biologici ed ecologici, salvo gli sprechi acquistando frutta e verdura (rigorosamente italiane) che altrimenti verrebbe gettata via, uso meno la macchina, mangio meno e sano, sono vegetariana, non compro acqua in bottiglie di plastica, lavatrice e lavastoviglie sono sempre sul programma eco, ho ridotto gli acquisti di qualsiasi cosa, compro vestiti usati, in inverno il termostato è impostato al massimo a 19 gradi, non mangio più banane, non compro avocado, né ananas. Eppure mi sembra di non fare abbastanza.

Avete anche voi questa sensazione?

Nessuno ha un’unica risposta corretta

Da piccola, erano gli anni ’90, sentivo spesso parlare in tv di cambiamenti climatici. Si diceva che fossero irreversibili.

Oggi si parla ancora dello stesso problema (mi sembra che siamo sempre fermi allo stesso punto) e se ne parlerà per secoli, se non ci estingueremo prima. Perché, se mai potremo invertire la rotta, tornare indietro richiederà molto più tempo di quanto non ne abbiamo impiegato per provocare i cambiamenti climatici e direi anche molto più sforzo. Questo però non ci deve spaventare, perché possiamo fare qualcosa fin da subito.

Quando ero piccola nevicava in inverno e in estate c’erano quei bellissimi temporali notturni che rinfrescavano l’aria. Aprile e marzo, settembre e ottobre donavano invece piogge diverse, più frequenti, più da passeggiata sotto l’ombrello, scandendo il cambiamento delle stagioni, ricordandomi che la scuola era appena iniziata in autunno e che il mio compleanno si stava avvicinando in primavera.

Oggi il mio cervello non riconosce più niente di tutto questo. In aprile non è piovuto, nemmeno una goccia, gli stagni erano secchi quest’anno, le libellule in alcune aree non si sono viste, e con le gelate tardive di alcuni anni passati la prima generazione di farfalle sarà morta.

Mi rendo conto che tutto questo sia così lontano dalle vite delle persone ed è un peccato che la natura non faccia parte della quotidianità di molti di noi.

Penso che nessuno abbia un’unica risposta corretta alla domanda “Che cosa dovremmo fare?” e nel suo libro “Possiamo salvare il mondo, prima di cena”, anche Jonathan ce lo ricorda.

Probabilmente l’importante è fare qualcosa, ognuno nel suo piccolo, arrivando dove le altre richieste e difficoltà della vita ci permettono di arrivare. Ricordandoci però che lo stipendio, la famiglia, il nostro animale domestico, l’aperitivo, i social, gli amici a cui teniamo tanto, esistono solo finché esiste questo Pianeta.

Dobbiamo essere onesti con noi stessi su quanto stiamo realmente facendo per proteggere la nostra casa. È banale, ma è meglio fare poco ora che dover fare troppo più tardi.

Quale sarà la prima cosa a cui saremo disposti a rinunciare quando le cose precipiteranno?

Una cosa è certa: Possiamo (contribuire a) salvare il mondo, dopo questo articolo.

Elena Mercugliano

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